Il suo pensiero in 5 punti
Dal concetto di modernità liquida a quello di indignazione passando per l’etica del lavoro e l’estetica del consumo, le lezioni che ci lascia il sociologo polacco.
1. La modernità liquida
Concetto fra i più noti del sociologo nato a Poznan da genitori ebrei. Semplice da comprendere, nei suoi confini di massima: con la fine delle grandi narrazioni del secolo scorso abbiamo attraversato una fase che quelle certezze del passato in ogni ambito, dal welfare alla politica, le ha smontate e in qualche modo dissacrate mescolandole a pulsioni nichilistiche.
Il risultato, che iniziamo a intravedere sull’onda lunga di quel periodo, è appunto un presente senza nome caratterizzato da diversi elementi: la crisi dello Stato di fronte alle spinte della globalizzazione, quella conseguente delle ideologie e dei partiti, la lontananza del singolo da una comunità che lo rassicuri.
La sua comunità è diventata il consumo, la sua unità di misura l’individualismo antagonista ed edonista in cui nuotiamo senza una missione comune. Concetti ripresi e approfonditi in testi come Amore liquido (2003) o Vita liquida (2005).
“Chi è insicuro tende a cercare febbrilmente un bersaglio su cui scaricare l'ansia accumulata e a ristabilire la perduta fiducia in sé stesso cercando di placare quel senso di impotenza che è offensivo, spaventoso e umiliante.”
2. L’indignazione
La fase che viviamo è propizia ai populismi e in particolare all’indignazione. In generale, a spinte contrastanti che viaggiano in direzioni complesse ma senza progetti, con la sola consapevolezza di ciò che non vogliono. Per Bauman, dopo la modernità fondata sul meccanismo del ritardo della gratificazione, stiamo insomma vivendo una sorta di interregno gramsciano. Una categoria da molti recuperata per descrivere i tempi che stiamo affrontando, quando “il vecchio muore e il nuovo non può nascere”. Un interregno oltre tutto ricco e affogato nell’informazione nel quale mancano non solo soluzioni univoche ma anche gli agenti sociali in grado di metterle in atto. Dagli Indignados a Occupy Wall Street fino ai movimenti populisti europei, l’ordine costituito viene contestato e diroccato ma allo stesso tempo fatica a difendersi. Potrebbe farlo solo accogliendo risposte che sposino in parte le istanze di queste spinte, a loro volta poco chiare.
“Nella storia nulla è predeterminato; la storia è una traccia lasciata nel tempo da scelte umane molteplici e di diversa origine, quasi mai coordinate.” (Nascono sui confini le nuove identità, Corriere della Sera, 24 maggio 2009)
3. L’etica del lavoro ed estetica del consumo
Frutto di quella procrastinazione – investire anziché distribuire, risparmiare o spendere; lavorare anziché consumare – è in fondo lo stesso sviluppo della società moderna. Basato su un’attesa – quel ritardo della gratificazione – che ha finito per produrre due tendenze in radicale opposizione: da una parte una società basata sull’etica del lavoro. Quella in cui mezzi e fini si invertirono finendo per premiare il lavoro fine a se stesso, estendendo il ritardo all’infinito e tuttavia mantenendo una volontà di ricercare modelli e regole al vivere comune.
“Le frontiere, materiali o mentali, di calce e mattoni o simboliche, sono a volte dei campi di battaglia, ma sono anche dei workshop creativi dell'arte del vivere insieme, dei terreni in cui vengono gettati e germogliano (consapevolmente o meno) i semi di forme future di umanità.” (Nascono sui confini le nuove identità, Corriere della Sera, 24 maggio 2009)
Dall’altra l’estetica del consumo, che per converso vedeva il lavoro come mero strumento utile a preparare il terreno per altro. Quest’ultimo concetto ha subìto oggi un’estremizzazione che ha condotto alla sua negazione: ritardo non c’è e non può esserci, attesa neanche. Questo secondo modello, quello che viviamo – d’impostazione aristotelica per opposizione al platonismo dell’altro – trasforma infatti il mondo in un “immenso campo di possibilità, di sensazioni sempre più intense” in cui ci muoviamo, spesso imboniti dal venditore di turno, alla sola ricerca di Erlebnisse, esperienze vissute. L’esasperazione della soggettività, che trova per giunta incredibili attuazioni nelle tecnologie in cantiere come la realtà virtuale, si piega alla tirannia dell’effimero.
La cultura, dagli inizi e per tutta la sua lunga storia, ha continuato a seguire lo stesso modello: usa dei segni che trova o costruisce per dividere, distinguere, differenziare, classificare e separare gli oggetti della percezione e della valutazione, e i modi preferiti/raccomandati/imposti di rispondere a quegli oggetti. La cultura consiste da sempre nella gestione delle scelte umane.
4. L’analisi dell’Olocausto
La svolta delle ricerche di Bauman avviene tuttavia prima di questi celebri lavori, nel 1989, con Modernità e Olocausto. Un tema evidentemente enorme per chiunque, pachidermico per un sociologo ebreo che grazie alla fuga della famiglia in Russia nel 1939 aveva evitato le conseguenze dirette della Shoah. Magistrale il ponte che costruisce fra la persecuzione degli ebrei le dinamiche della modernità, individuandoli come elementi di destabilizzazione dell’ordine, finanza contro terra. In questo senso Bauman fa dello sterminio un fatto ripetibile, lo toglie dall’isolamento trasformandolo in frutto della civiltà moderna, delle sue regole economiche ed efficientiste a cui subordinare pensiero e azione. La Shoah come parto della tecnologia e della burocrazia, per la quale l’antisemitismo è stata ragione necessaria ma non sufficiente. Uno sviluppo della lunga storia della società, quasi un orribile test che ne ha rivelato le possibilità occulte difficilmente verificabili nell’ordinarietà.
La vera guerra al terrorismo – che può essere vinta – non si conduce devastando ulteriormente le città e i villaggi semi-distrutti dell'Iraq o dell'Afghanistan, ma cancellando i debiti dei Paesi poveri, aprendo i nostri ricchi mercati ai prodotti di base di questi paesi, finanziando l'istruzione per i 115 milioni di bambini attualmente privi di qualsiasi accesso alla scuola e conquistando, deliberando e attuando altri provvedimenti simili.
5. Post-panopticismo
In una prospettiva futura, per capire cioè cosa arriverà dopo la post-modernità, Bauman – in particolare nel libro Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida uscito un paio di anni fa e scritto con David Lyon – ci apre gli occhi verso un approccio del tutto diverso alle strutture di potere, che sorpassa i classici modelli di controllo teorizzati da Jeremy Bentham e Michel Foucault. Cioè un modello di società in cui le forme di controllo assumono le fattezze dell’intrattenimento e dunque del consumo. In cui sotto l’attenzione delle organizzazioni transnazionali finiscono i dati e non le persone, o meglio le loro emanazioni digitali. E in cui i rischi più elevati – più che per la privacy – sono per la libertà di azione e di scelta.
Possiamo profetizzare che, a meno di essere imbrigliata e addomesticata, la nostra globalizzazione negativa, che oscilla tra il togliere la sicurezza a chi è libero e offrire sicurezza sotto forma di illibertà, renderà la catastrofe ineluttabile. Se non si formula questa profezia, e se non la si prende sul serio, l'umanità ha poche speranza di renderla evitabile. L'unico modo davvero promettente di iniziare una terapia contro la crescente paura che finisce per renderci invalidi è reciderne le radici: poiché l'unico modo davvero promettente di continuarla richiede che si affronti il compito di recidere quelle radici. Il secolo che viene può essere un'epoca di catastrofe definitiva. O può essere un'epoca in cui si stringerà e si darà vita a un nuovo patto tra intellettuali e popolo, inteso ormai come umanità. Speriamo di poter ancora scegliere tra questi due futuri.
La novità è che questo spazio del controllo ha perso i muri. E a dire il vero non occorrono neanche più i sorveglianti, visto che le “vittime” contribuiscono e collaborano al loro stesso controllo. Sono impegnati nell’autopromozione e non hanno gli strumenti per individuare l’aspetto poliziesco nascosto sotto a quello seduttivo. Non c’è più un luogo – che sia la scuola, il carcere o la fabbrica – dove concentrarci per controllarci, se non quelli residuali come il carcere o il campo profughi. [Simone Cosimi su Wired se vuoi approfondire puoi leggere anche Linkiesta in più Le Citazioni]
Lifestyle & News : Italy, Attualità, Società e Cultura